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Perchè li abbiamo scelti:

La storia di Valeria Gallese e della sua “Aquilana” è una storia bellissima, profonda, umana, etica, di resistenza, di lotta, passione, tenacia, che si concretizza in un prodotto unico: quando toccherete le sue matasse, restando a bocca aperta per i colori pieni e vivi, affonderete le dita nella morbidezza del  filato e il naso vi sarà sentire un profumo inconfondibile, allora capirete da soli perchè non poteva mancare nel nostro assortimento!

Due parole sulla ditta (tratto dal alcuni articoli): se avete tempo è una lettura molto interessante sapere con chi si ha a che fare!

DA MONTAGNA TV

Sono nata in città, ad Avezzano, sono venuta a vivere ai piedi del Gran Sasso nel 2008, subito prima del terremoto dell’Aquila. Sono dovuta tornare nella Marsica, appena possibile sono tornata qui, e per sei anni, fino al 2016, ho vissuto nei prefabbricati della Protezione Civile. Noi donne abruzzesi siamo toste” sorride Valeria.   

Oggi l’imprenditrice della lana vive a Barisciano, ai piedi dei pendii del Gran Sasso. Nel 2016 ha aperto una bottega a Santo Stefano di Sessanio, a 1250 metri di quota. Entrambi i borghi sono legati a filo doppio alla lana. Di fronte a Barisciano, nella piana tra L’Aquila e Navelli, passa il Tratturo Magno, l’autostrada della transumanza abruzzese, che le greggi hanno percorso da e verso il Tavoliere di Puglia fin dal tempo dei Popoli Italici. Santo Stefano, dal 1579, è appartenuta per due secoli ai Medici di Firenze, che basavano la loro prosperità sull’arte della lana. Quando Valeria è arrivata da queste parti, però, l’arte della lavorazione della lana era morta e sepolta da tempo. “ Ho studiato Veterinaria, mi sono appassionata alle pecore” continua Valeria Gallese. “Quando sono arrivata sul Gran Sasso, delle pecore di Campo Imperatore si utilizzavano il latte, la carne, ma la lana sucida non era ben pagata. Ho pensato allora che era necessario restituire dignità economica ma anche morale a questo prodotto”. Valeria ha iniziato a trasformare le lane sucide dell’azienda di famiglia, si è messa in proprio, nel 2011 ha creato il marchio AquiLANA, e ha avuto successo. Da quando ha iniziato la sua attività compra direttamente la lana dai pastori del Gran Sasso fino a quelli del Tavoliere delle Puglia, la seleziona ovvero sceglie solo la più bella e la manda a filare a Biella. Quando torna la tinge e la lavora. Dai 50 chili di lana filata e venduta nel 2012, AquiLANA è passata ai 700 del 2018, e agli 8000 di quest’anno. Per tingere la lana usa i colori del Gran Sasso e dell’Abruzzo. Dalla ginestra ricava il giallo, dall’iperico il verde, per il blu si serve del guado, una pianta che veniva utilizzata dai pittori del Medioevo. Per ottenere il tortora, immerge la lana nel Montepulciano d’Abruzzo, il robusto vino rosso che si produce ai piedi del massiccio. Nell’autunno del 2020, Valeria ha iniziato a collaborare con le cooperative Altopiano di Navelli e Oro Rosso, per riutilizzare nella tintura della lana gli scarti del raccolto dello zafferano dell’Aquila dop. E’ un nuovo passo in un percorso di collaborazione con altre imprenditrici del tessile, in tutta Italia, e con altri giovani imprenditori di Santo Stefano di Sessanio.  Ci sono diverse collaborazioni tra cui le Lanivendole di Genova, Claudia Comar di Torino, con l’associazione Fili Folli di Chieti e con altre realtà. Nella bottega a Santo Stefano di Sessanio oltre alla lana presenta capi fatti a mano: “Non ho fatto studi d’arte o di moda. Nella bottega presentiamo berretti, sciarpe, scaldacollo, scaldamani e maglioni. Amo giocare con i colori, quello che propongo è uno stile semplice, l’unicità del mio lavoro sta nelle sfumature di colore, diverse per ogni capo”.

Non è stato facile venire a vivere qui. Quello dei pastori è un mondo difficile, ed io ero una giovane donna con una visione diversa e delle soluzioni…. La mia determinazione e soprattutto la mia serietà hanno conquistato spazio e ora collaboro molto bene con alcuni pastori che adesso sii fidano di me del mio operato” spiega ancora Valeria. “Da quando ho fondato AquiLANA, il mio anno è stato diviso in due parti. In estate, quando Santo Stefano è piena di turisti, vendo molto nella mia bottega. D’inverno vendo online, e ho più tempo per la famiglia. Mi sono programmata da tempo a fare la donna, l’imprenditrice e la madre, e questa organizzazione mi ha permesso di resistere al Covid”.

La Vigilia di Natale, una sua apparizione a Geo&Geo di Rai Tre ha avuto degli ascolti da record, e ha portato nuovi clienti all’azienda. 

 

DA VIRTU’ QUOTIDIANE:

Amore per il territorio, una filiera etica ed una tradizione centenaria che non si arresta. Sono queste le carte vincenti che hanno portato AquiLANA, l’attività di Valeria Gallese, 38enne imprenditrice avezzanese, a diventare un esempio virtuoso nella vendita della lana proveniente dai pascoli del Gran Sasso. A Santo Stefano di Sessanio, paesino dell’aquilano annoverato tra i “Borghi più belli d’Italia”, Gallese ha aperto nel 2016 la sua bottega, dove accoglie turisti, curiosi ed affezionati, crea matasse con l’arcolaio, antico strumento della tradizione appenninica, e lavora la lana. Entrando in bottega si è subito immersi in un altro tempo: tra le sfumature delle lane, colpisce un vecchio telaio che occupa buona parte della stanza, l’arcolaio e le pentole in cui tinge la lana. Non si tratta però, come in molti casi, di un’antichità costruita a tavolino per incantare i turisti ma di un vero laboratorio in cui si reinventa la trasformazione della lana, partendo dalle conoscenze della tradizione e valorizzandole con studio, inventiva e nuovi canali di comunicazione. Sì, perché quella lana che vediamo esposta sugli scaffali, tra i filati gialli, verdi o rossi e i prodotti finiti come cappelli, sciarpe, vestiario o coperte, è il risultato di un processo che parte non molto distante, sulle montagne del Gran Sasso. È lì che Valeria Gallese, una volta terminati i suoi studi in produzioni zootecniche ed allevamento ovino presso l’Università di Teramo, decide nel 2012 di investire le proprie energie. Porta tra i pascoli le sue conoscenze, ad esempio come ottenere direttamente sulle greggi, attraverso la gestione genetica, un miglioramento della lana e sperimenta a sua volta nuove competenze, come selezionare i velli da mandare a trasformazione. La filiera della lana inizia, infatti, con la tosatura che avviene nel nostro territorio tra aprile e maggio. L’imprenditrice si occupa personalmente di fare una cernita e solo i velli migliori vengono mandati nel biellese dove la lana viene lavata, pettinata, filata, ritorta e messa in rocca. Da qui la lana torna nella filiera aquilana: Gallese trasforma le rocche in matasse che tinge con piante, radici, fiori, foglie e cortecce che raccoglie tra le sue montagne. Dai fiori di ginestra ricava il giallo, dalle radici di robbia i colori rosso e salmone, dal guado il blu, dalle galle di quercia il marrone e poi l’immancabile Montepulciano d’Abruzzo, da cui si realizza un color tortora, grazie alla presenza di antociani, antiossidanti naturali. Quelle delle piante tintorie è stata un’altra abilità che Gallese ha acquisito, quasi per caso, durante il suo percorso: un corso organizzato dall’Ente Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga proprio nel momento giusto, una scelta che lei stessa definisce “dettata dal territorio”. “Ho iniziato – racconta Gallese a Virtù Quotidiane – a trasformare la lana in filato nel 2012. Dei primi 50 chili di lana ottenuti dalla filatura di 150 chili di lana sporca, non riuscivo a vendere neanche un etto”. Poi l’intuizione. “Ho aperto un piccolo blog in cui raccontavo la mia storia e nel giro di tre mesi ho venduto tutto online.”. Se in un primo momento Gallese si avvaleva delle pecore dell’azienda di famiglia, ben presto ha abbracciato la filosofia e gli obiettivi di “Pecunia”, un ambizioso progetto dell’Ente Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga che da diversi anni punta a incrementare il valore economico della lana. Nel caso in cui, dopo la dovuta tosatura, non si riesca a vendere la lana, si deve provvedere allo smaltimento, un costo ulteriore che i pastori devono sostenere. Per questo motivo, per anni la lana è stata ritirata ad una somma inferiore rispetto al potenziale valore del prodotto. Il progetto ha, di fatto, invertito questa tendenza. Attraverso uno specifico corso di formazione alcuni operatori hanno potuto apprendere le tecniche per effettuare la suddivisione della lana sucida, cioè “sporca”, appena tosata proveniente da diverse razze, secondo gli standard qualitativi richiesti dall’industria. La lana ha così raggiunto un prezzo superiore alla media del mercato nazionale. “La dimostrazione di AquiLANA – afferma Gallese – è stata che la lana del Gran Sasso si può utilizzare ed è una lana bella e se io nel mio piccolo riesco a fare quadrare i conti, garantendo un prezzo equo ai pastori, immaginiamo quanto potrebbero fare gli industriali”. Da un pagamento equo della lana, si ricava logicamente un minor margine di guadagno ma, se oltre alla materia prima di qualità, si unisce la tintura naturale e la lavorazione a mano, il prodotto acquista un valore aggiunto. Nell’era della fast fashion e del consumismo illogico, acquistare in maniera consapevole non è solo un capriccio da radical chic, è qualcosa che tutti possiamo fare: ridurre i nostri acquisti, preferendo alla quantità, prodotti di qualità. Tornando a quel cappello sullo scaffale.

“Se il consumatore – spiega l’imprenditrice – preferisce un cappello che costa 30 euro rispetto a quello di poliestere che ne costa 15, acquistando un prodotto di qualità sta sostenendo una filiera che garantisce la resistenza e l’esistenza della vita in questi borghi montani”.   “Evitare lo spopolamento dei borghi montani – conclude Gallese – non deve essere solo una bella parola, ci devono essere dietro delle azioni concrete”.

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